domenica 25 settembre 2011

Friedrich Wilhelm Nietzsche (1844-1900)


Nietzsche rappresenta la negazione del passato, il rifiuto di tutte le tradizioni, l’appello ad una svolta radicale, è il filosofo che mette in dubbio tutta la storia della filosofia occidentale, che cerca, dopo venticinque secoli di interpretazione metafisica dell’essere, un nuovo principio.

All’inizio della sua riflessione, Nietzsche fu influenzato da Schopenhauer, per il quale la vita è crudele e cieca irrazionalità, è dolore e distruzione.  Ma egli non si ferma al pessimismo di Schopenhauer: il sentimento tragico della vita è accettazione della vita stessa, è una esaltante adesione a tutti gli aspetti dell’esistenza, anche a quelli più terribili, poiché tutto fa parte dell’immensa marea della vita (VITALISMO).

Ne La nascita della tragedia (1872), N. vede nel mondo greco la stagione spiritualmente più alta e ricca dell’umanità. La civiltà greca era infatti nutrita da un vigoroso senso tragico, che è per N. l’autentico modo di rapportarsi alla vita: è accettazione di essa, coraggio davanti al Fato (atteggiamento Romantico). L'intera civiltà greca (e, indirettamente, quella occidentale) appare agli occhi di N. governata da due princìpi che egli identifica, rispettivamente, con il dio Apollo (il dio solare, emblema dell'equilibrio, dell'armonia, della razionalità e dell'ordine) e con il dio Dioniso (l'orgiastico dio della natura selvaggia che incarna il disordine, le forze irrazionali e istintive dell'uomo: Dioniso è l’accettazione entusiastica della vita e Zarathustra il suo profeta). La grande tragedia greca è la forma suprema di arte, in quanto in essa si compongono gli impulsi vitali creativi (spirito dionisiaco), e la moderazione, l’equilibrio, la razionalità (spirito apollineo): ma N. mette in risalto l'aspetto dionisiaco, attribuendogli anche un peso maggiore rispetto a quello apollineo. Prima che nascesse la tragedia, egli nota, vi è stato un alternarsi dei due atteggiamenti, per cui ora prevaleva la prospettiva caotica del dionisiaco, ora quella composta dell'apollineo: il dionisiaco genera anche l'apollineo, quasi come una barriera di difesa all'impeto dirompente dello spirito dionisiaco. Soffermando la propria attenzione sul mondo greco, N. cita espressamente il tempio dorico arcaico che, con la sua assoluta perfezione geometrica, rappresenta proprio l'ergersi dell'ordine apollineo in opposizione al caos dilagante del dionisiaco.
L'apollineo nasce come reazione alla tragicità dionisiaca della vita.
La crisi che sta vivendo la civiltà occidentale risale, per N. a quel tempo remoto del mondo greco, e legge appunto la nascita della tragedia come manifestazione di questo pessimismo latente che pervade il mondo greco, intravedendo il momento culminante dell'età greca non nella società dei tempi di Platone e Pericle, bensì nella civiltà arcaica, ancora venata dal pessimismo; in essa è cristallizzato un perfetto e armonico equilibrio tra lo spirito dionisiaco e quello apollineo: sulla scena, infatti, vengono rappresentati avvenimenti terribili che però risultano piacevoli agli spettatori (già Aristotele aveva riflettuto su questo paradosso): di fronte alla tragicità degli eventi messi in scena, si prova piacere perchè si esprime sì l'impeto dionisiaco, ma è "Dioniso che parla per bocca di Apollo", la tragicità dell'esistenza é sublimata dalla traduzione artistica, come se Apollo desse forma ai contenuti di Dioniso.
L'ottimismo è subentrato a partire dai grandi sistemi filosofici di Platone e Aristotele.

Se per Schopenhauer, dopo essersi accorti che la vita è tragica, non resta che uscirne al più presto, per N., viceversa, la si deve vivere fino in fondo, accettandola in ogni sua sfumatura (in Così parlò Zarathustra egli dice: "bisogna avere un caos dentro di sè per generare una stella danzante"). L'apollineo, per rimanere positivo, non deve perdere il suo contatto con il dionisiaco (da cui è generato): il problema sorge nel momento in cui Apollo non è più portavoce di Dioniso, ma parla con voce propria, diventando così autonomo. E il crollo della cultura greca, verificatosi agli occhi di N. nel V secolo a.C., è legato proprio a questo: con la produzione di Euripide il tragico sfuma e cede il passo alla razionalità, tendendo sempre più a diventare ottimistica. Socrate, dal canto suo, è il primo grande simbolo della grande razionalità filosofica della Grecia e il suo allievo, Platone, non fa che portare alle stelle questa tendenza: da quel momento fino all'epoca in cui vive N., la civiltà occidentale è sempre più andata, in modo irresistibile, verso una marcata compostezza ordinata e razionale, con il conseguente sganciamento dell'apollineo dal dionisiaco e la fine dell'equilibrio tra i due.
Nietzsche scorge nella figura di Wagner la possibilità di una rinascita della tragedia greca, intesa come antidoto al prevalere imperante dell'apollineo.

Dalle Considerazioni inattuali (1873-74) in poi, Nietzsche inizia la sua critica ad ogni manifestazione culturale.
In quanto poi alla storia essa serve all’uomo perché ha bisogno di avere dei maestri ideali. L’individuo non è altro che uno spettatore della Storia, che lo supera e lo travolge.
N.  individua tre diversi tipi di storiografia: quella "critica" ha un approccio critico con il passato e, dunque, si pone (sulla scia dell'Illuminismo) in forma correttiva rispetto ad esso; quella "monumentale", invece, esamina e celebra le azioni del passato e, infine, quella "antiquaria", come suggerisce il nome, nutre un culto, di stampo museale, del passato in quanto tale.
Ciascuna di queste tre tipologie è utile: la critica e l'esaltazione delle gesta del passato, infatti, sono uno stimolo per agire in modo migliore e, in modo analogo, perfino il radicamento museale nel passato può essere una buona premessa per agire meglio (pensiamo a Manzoni, che nell'Adelchi mette in scena vicende del passato radicate nella cultura italiana per aizzare il popolo ai moti risorgimentali). La storia, nelle sue tre sottodivisioni, è in perenne bilico tra l'essere utile e l'essere dannosa per la vita, e, proprio come fa Freud, egli propone sempre anche degli antidoti: se ne La nascita della tragedia aveva proposto l'opera wagneriana come possibile ritorno all'equilibrio tra apollineo e dionisiaco, ora, invece, sostiene che per far fronte al rischio che la storia possa danneggiare la vita si deve ricorrere all'arte e alla religione. L'arte, infatti, pressochè costante nell'opera nietzscheana, può costituire un'efficace cura per dar spazio alla creatività dell'uomo e al suo istinto creativo: si deve vivere la vita come un'opera d'arte (tesi che sarà particolarmente cara a D'Annunzio).

Nietzsche definisce il cristianesimo come "platonismo per il popolo", nel senso che afferma due realtà, di cui quella che non si vede è la più importante. Non solo: il cristianesimo oppone i valori del cielo a quelli della terra. Così esso è la religione dei deboli, dei vinti.
L’ateismo, appare quindi a Nietzsche come l’unica alternativa per liberare l’uomo.
Ne La gaia scienza N. sostiene che l’uomo ha ucciso Dio. "Dio è morto e noi l’abbiamo ucciso". La civiltà occidentale ha ucciso Dio a poco a poco, ma, uccidendo, ha perso ogni punto di riferimento. Dicendo che "Dio è morto!" N. vuol indicare insomma che sono morti gli ideali ed i valori del mondo occidentale. Dio è stato ucciso perché in Lui era sintetizzato tutto ciò che era contro la vita. Però, ora che Dio è morto, l’uomo non sa più che cosa fare: è privo di valori ed è quindi solo, sperduto "nel gran mare dell’essere", senza punto d’appoggio.
Nietzsche non era banalmente un "ateo", la religione gli sta a cuore nella misura in cui essa può promuovere la creatività umana: e se arriverà a condannare le religioni dei suoi tempi, lo farà quasi esclusivamente perchè esse uccidono la vitalità, non perchè sono menzognere; e, in questa fase del suo pensiero, non può fare a meno di constatare che nell'epoca d'oro della tragedia (quella di Sofocle e, soprattutto, di Eschilo) la religione era un patrimonio lussureggiante di miti e di immagini da vivere in prima persona con i riti e con le feste, cosicchè essa non ammazzava, ma anzi era una sorgente di vitalità umana.

Gli scritti successivi (Umano, troppo umano, 1878-80; Aurora, 1881; La gaia scienza, 1882), aprono la fase "neoilluministica" di Nietzsche.
Egli vuole deliberatamente mettere tutto in discussione: romanticismo, idealismo, positivismo, socialismo, evoluzionismo, cristianesimo, metafisiche e dogmatismi vari. Tutte le realtà che sono state presentate come nobili, vere, spirituali sono in realtà "umane, troppo umane", non esiste nessuna verità se non all’interno di una interpretazione ed in riferimento ad una particolare prospettiva. In altre parole, non vi sono verità evidenti se non all’interno di categorie storicamente instaurate dagli uomini.

Da un certo momento in poi N. abbandona la strada religiosa e scorge l'unico antidoto possibile nella scienza e per questo motivo questa nuova stagione del suo pensiero è stata spesso definita "illuministica", ma con un atteggiamento radicalmente diverso rispetto a quello positivistico, fiducioso che nel dato di fatto risiedesse la verità; più precisamente, la valutazione positiva che N. apprezza la scienza non in base ad un criterio di verità, ma piuttosto perchè capace di liberare l'uomo, proprio come, anni prima, aveva valutato positivamente la religione per la sua capacità di far emergere la capacità creativa. Ciò che più affascina N. della scienza e del suo essere utile per la vita è il fatto che essa indaghi sull'origine delle cose ed è per questo che la sua attenzione è rivolta precipuamente alla chimica e alla paleontologia.

In Così parlò Zarathustra (1883-85), N. mette in bocca a Zarathustra la dottrina della "morte di Dio", che è l’inizio della liberazione da tutti gli idoli metafisici. L’uomo vivrà felice e libero quando si sarà liberato da tutti i legami, anche da quelli stessi di "uomo" e "umanità". "L’uomo deve essere superato" affinché arrivi il Superuomo o Oltreuomo.
Il superuomo sarà un essere libero, socievole, che agirà per realizzare se stesso. E’ un essere che ama la vita, che non si vergogna dei propri sensi e vuole la gioia e la felicità. E’ un essere "fedele alla terra", alla vita, alla propria natura corporea e materiale, ai propri istinti e bisogni. Vive con  pienezza, sanamente, ha una volontà creatrice che istituisce valori nuovi (ecco il vero significato della volontà di potenza: la volontà di creare sempre, incessantemente, dei valori nuovi, cioè creare il senso della terra). Non più "tu devi", ma "io voglio".
La sua massima è: "Diventa ciò che sei".
Il superuomo è il filosofo dell’avvenire; è un uomo senza patria né mèta per poter insegnare ad amare la ricchezza e la transitorietà del mondo, per aprire la ricerca a nuovi orizzonti. Per N., tutto quanto accade, è già accaduto, e tornerà ad accadere. Nulla avviene a caso; e quando avviene, avviene per sempre, non si dissolve, ritorna eternamente. Questa dottrina – dice Nietzsche – è una condanna solo per gli uomini mediocri, poiché per essi torneranno sempre frustrazioni e sconfitte.
Tra i bislacchi personaggi che accompagnano Zarathustra nella sua avventura, vi è anche un nano che espone tale dottrina, secondo cui tutto ritorna su se stesso e per cui tutto quanto accade ora è già accaduto un'infinità di volte nel passato e accadrà un'infinità di volte nel futuro. Nel formulare questa strana teoria già esposta similmente dagli Stoici, Nietzsche si basa anche su studi scientifici e, in particolare, sulla constatazione che meccanicisticamente le possibili composizioni della materia, per quanto numerose, si esauriscono e, dopo esserci state tutte, ritorna quella di partenza.
L'oltreuomo che sa vivere in superficie e vivere pienamente la sua esistenza come un'opera d'arte, può per davvero desiderare di riviverla in eterno: secondo la logica della volontà di potenza, egli vuole proporci un'interpretazione particolarmente forte del mondo: se ci mettiamo nella prospettiva dell'oltreuomo e se quindi sappiamo vivere pienamente la vita, varrà la pena anche decidere di vivere come se la vita dovesse eternamente ritornare, momento per momento. Soltanto una vita pienamente vissuta si può desiderare che ritorni in eterno: nella dottrina del tempo lineare, ogni istante distrugge quello precedente, ogni cosa è travolta da quella che viene dopo e quindi se accetto tale dottrina non posso vivere pienamente, perchè so che ogni istante sarà distrutto da quello successivo, ma posso decidere di vivere come se ci fosse l'eterno ritorno, desiderando con ardore di rivivere ogni singolo istante della vita per l'eternità (amor fati), quasi come se al "no" alla vita di Schopenhauer si sostituisse un "" eterno ad essa: " la mia formula per la grandezza dell'uomo é amor fati: che cioè non si vuole nulla diverso da quello che é, non nel futuro, non nel passato, non per tutta l'eternità " ( Ecce Homo ). L’eterno ritorno è anche il che il mondo dice a se stesso, è una verità terribile, da amare: l’amor fati, che libera l’uomo dalla schiavitù del passato.

E così, la fase precedente al nichilismo, quella cioè dei valori morali e di Dio, simboleggia l'eternità, mentre quella del nichilismo passivo, privo di valori assoluti, è il tempo lineare che tutto travolge e nulla ha senso; l'ultima fase, quella del nichilismo attivo, è il divenire continuo che assume valore assoluto e tutto ciò è quanto accade nella dottrina dell'eterno ritorno, la quale fa assumere dignità di assoluto al divenire, tutto fluisce ma in modo circolare.

Nietzsche e Freud sono accomunati dall'aver smantellato in profondità, seppur con differenti modalità, le certezze del mondo ottocentesco e della sua fiducia razionalistica, già peraltro fatte scricchiolare da Schopenhauer e da Kierkegaard. Nietzsche è in piena sintonia con l'idea marxiana di una filosofia di trasformazione, per cui interpretare il mondo, senza mutarlo, è insufficiente e, nel proporre questo modo di pensare, egli rompe brutalmente una lunga tradizione, risalente ad Aristotele, la quale voleva la filosofia come sapere fine a se stesso. La vera filosofia non deve più domandarsi cosa è vero, ma cosa è utile per la vita.

Prima di proporre una nuova tavola di valori, Nietzsche si dedica allo smantellamento della morale. In Al di là del bene e del male (1886) e nella Genealogia della morale (1887), egli risale all’origine dei comportamenti morali. La morale per Nietzsche è uno strumento di dominio: in nome di tali valori, alcuni uomini (i "buoni") ne soggiogano altri (i forti). Vi sono infatti due tipi di morale: la morale dei sani, dei forti, che privilegia l’individualismo, la fierezza, l’amore per la vita; e vi è poi la morale degli schiavi, dei deboli, che è sociale e utilitaristica, che predica la democrazia e via dicendo.
La morale degli schiavi è nata col cristianesimo ed è sorta per il risentimento verso la classe dei forti: infatti i mediocri non sanno elaborare nulla di proprio e di autonomo, la vera azione è loro negata, ed allora trovano il compenso in una vendetta immaginaria. Perfino la democrazia e il socialismo sono il frutto di quest'atteggiamento di divinizzazione della morale..
L'uomo, osserva N., ha per natura il bisogno di dominare la realtà che lo circonda e, per fare ciò, sente la necessità impellente di imporsi delle regole comportamentali e conoscitive che lo difendano dalla realtà caotica e irrazionale in cui è immerso, proprio come, al tempo dei Greci, lo spirito apollineo era nato da quello dionisiaco. Quelli che vengono generalmente riconosciuti come "il bene" e "il male" sono tali perchè l'han stabilito i "padroni", afferma N. accostandosi in modo impressionante alle tesi che in quegli anni stava elaborando pure Marx; dopo di che, tuttavia, succede anche che nasca una morale dei servi, di coloro, cioè, che sono assoggettati in quanto deboli e che, con la loro morale, intendono negare la validità del diritto del più forte, proponendo, opposta ad essa, una " morale del risentimento ".  I deboli, che non sanno vivere, hanno fatto diventare valore la negazione della vita; è questa la vendetta dei deboli contro i forti. La morale tende così ad indebolire l’uomo. L’essere umano desiderava soddisfare le proprie pulsioni, realizzarsi in questo mondo. La morale lo ha invece spinto a credere in una specie di anti-mondo, lo ha portato ad allontanarsi dalla sua natura originaria, che è terrestre. Ma la natura si è vendicata e gli istinti si sono rifugiati all’interno dell’uomo ("Tutto ciò che è profondo, ama mascherarsi").
Nietzsche ha anticipato qui Freud: ha scoperto la resistenza degli istinti e delle pulsioni, la impossibilità di annullarli con la forza della coscienza e della morale. Ed ha scoperto che, se non sono liberati per vie naturali, essi possono esercitare un’azione ancora più perversa. L’uomo appare così a Nietzsche come un "animale malato".
Orbene, per liberare l’uomo da questo nichilismo N. propone una nuova tavola di valori che realizzino l’ideale della "grande salute". Per poterla attuare, egli ha elaborato i concetti di volontà di potenza, superuomo (ovvero oltreuomo) ed eterno ritorno.
La volontà di potenza (a cui N. dedica un'opera intitolata, appunto, La volontà di potenza ) è in un certo senso l'erede remoto della volontà schopenhaueriana: la stessa opera La nascita della tragedia era intrisa di concezioni schopenhaueriane e, soprattutto, l'elemento dionisiaco era quello in grado di cogliere la forza irrazionale che governa la realtà e che finiva per identificarsi con la volontà di Schopenhauer. Tuttavia, con la nozione di "volontà di potenza" N. si discosta dall'insegnamento del filosofo pessimista: Schopenhauer insisteva vivamente sulla necessità di capovolgere la volontà in nolontà, quasi come se si dovesse sfuggire alla volontà stessa; ora, a partire da La nascita della tragedia, N. sostiene invece che si deve accettare fino in fondo la tragicità dell'esistenza e trovare una specie di gioia paradossale nel vivere il caos fino in fondo.
Ma è bene notare come la volontà di potenza non sia volontà di esistere, poichè, propriamente, non c'è nulla che esista, ma è, invece, volontà di affermarsi, ma non con la violenza sui più deboli (come credevano i nazisti).

N. si scaglia soprattutto contro Platone, che nella Repubblica aveva contestato a Trasimaco il diritto del più forte, contro il cristianesimo, strenuo propugnatore dell'uguaglianza degli uomini di fronte a Dio, contro la democrazia e contro il socialismo ("balorda incomprensione di quell'ideale morale cristiano"); e dopo aver tuonato contro di essi, N. fa una scoperta sensazionale: la morale dei deboli può diventare morale della sopraffazione, poichè se essi si uniscono possono imporre i loro valori in modo coercitivo ma anche in modo "pacifico" e, in quest'ottica, l'ascetismo stesso, tanto caro a Schopenhauer, altro non è se non trasformare in valore l'incapacità di vivere la vita fino in fondo e voler costringere gli altri a cedere a tale valore. Perfino i martiri cristiani, sostiene N., commettono una violenza, poichè col martirio è come se imponessero agli altri i loro valori. Con queste riflessioni Nietzsche demitizza la morale e da ciò deriva un atteggiamento di nichilismo , ovvero una filosofia del nulla che prorompe dal venir meno dei punti di riferimento della morale: e Nietzsche distingue tra "nichilismo passivo", dipingendolo in negativo, e "nichilismo attivo", esaltato invece come altamente positivo. Se con Platone era invalsa la convinzione che esistessero due mondi distinti, uno intellegibile e perfetto, l'altro fisico e lacunoso perchè pallida copia dell'altro (e il cristianesimo aveva esasperato questa mentalità), si è poi scoperta la falsità di tale apparato ideologico e morale, cosicchè il mondo fisico ha perso ancora più consistenza perchè, se ai tempi di Platone e della morale cristiana, era considerato imperfetto ma comunque copia di quello ideale, ora si trova smarrito e senza punti di riferimento assoluti: domina dunque il nichilismo passivo.
Poi, però, nasce una nuova posizione: dopo aver dichiarato l'inesistenza del mondo dei valori assoluti, ci si accorge che di esso non c'è più bisogno (e forse non ce n'è mai stato), sicchè viene meno il rimpianto che caratterizzava il nichilismo passivo; il mondo sensibile resta l'unico e assume un valore assoluto, mai conosciuto in precedenza, poichè tutto il valore riconosciuto un tempo al mondo sovrasensibile si riversa ora su quello terreno e così, dal nichilismo passivo si passa a quello attivo, caratterizzato da un radicale immanentismo; il nuovo ateo, cioè, non rimpiange più il mondo dei valori, ma dice: "dio non c'è? Benissimo, allora dio sono io".

Non si elimina il bene e il male, ma si trasmuta il significato e questo atteggiamento volto a cambiare, non a distruggere, emerge bene dal titolo di un'opera del 1885-86 intitolata Al di là del bene e del male: l'uomo, smontata la morale e liberandosi dei valori "divini" imposti dall'esterno e dannosi per la vita diviene un "creatore di valori". Non si subiscono più in modo passivo i valori "divini", ma si vivono in modo gioioso e gaio quelli nuovi, terreni a tutti gli effetti.

N. può così arrivare ad affermare che "Dio è morto", ma non dice che non esiste, altrimenti avrebbe riproposto una nuova verità (la non-esistenza di Dio): Dio è morto nel senso che non ci serve più e da ciò emerge l'idea (fortissima in Così parlò Zarathustra ) del "congedarsi da Dio"; certo, ci sono stati momenti in cui Dio ha avuto un senso; nella Genealogia della morale riconosce che, in determinati periodi storici, la religione è stata necessaria e ha avuto un senso.
Più nello specifico, è il progresso che ha reso sempre più possibile la vita senza l'arsenale divino e morale, fino ad arrivare al nichilismo attivo, in cui si smarrisce ogni rimpianto per tali valori; e un ruolo di primissimo piano è stato svolto dalla tecnologia: l'uomo, infatti, finchè non è stato in grado di dominare materialmente la realtà, ha sentito l'esigenza di imporsi su di essa almeno concettualmente con l'idea di Dio e della morale. Ma poi, grazie al progresso e alla tecnologia, egli ha esteso il proprio dominio materiale sulla realtà e la validità di concetti come "Dio" e "morale" si è sgretolata, a tal punto che ancora oggi le società più evolute sono quelle dotate di regole meno fisse. E’ un congedo da Dio calmo e sereno che si attua nel momento in cui ci si accorge che quelle cose, un tempo indispensabili, ora non servono più e possiamo liberarcene in tutta tranquillità: " morti sono tutti gli dèi: ora vogliamo che il superuomo viva ".
Tuttavia, al termine superuomo, destinato a diventare un mito per le generazioni successive a N. e ad essere soggetto a clamorosi fraintendimenti, è preferibile usare quello di "oltreuomo", proprio per distinguere la concezione nietzscheana dalle poco fedeli interpretazioni fascistoidi e dannunziane.
Fondamentalmente, l'oltreuomo non è un essere superiore agli altri, ma la nuova figura che l'uomo dovrà assumere in futuro e N. se ne fa profeta soprattutto in Così parlò Zarathustra, un libro enigmatico che ha come protagonista quello Zarathustra, fondatore della religione persiana, che aveva contrapposto in modo nettissimo il bene al male. L'unica cosa che Zarathustra insegna è di non accettare insegnamenti, ma di creare nuovi valori: egli profetizza la venuta del superuomo, ovvero dell'uomo del futuro che si innesta nella civiltà postmoderna: vi sarà sì una fase provvisoria in cui esisteranno solo pochi oltreuomini in grado di cogliere come procede il futuro, ma ciò che li caratterizzerà sarà quel senso di "malattia" e di inattualità che ha accompagnato N. stesso per tutta la sua vita fino a culminare nella follia, la risata e la danza incarnano la leggerezza dell'oltreuomo, il suo poggiare non sull'essere, ma sul vuoto simboleggiano il suo saper " vivere in superficie ", quasi camminando sulle acque, proprio in virtù del venir meno di quella che Kant chiamava " cosa in sè ".

Nietzsche prende le distanze dalla tradizione anche per il modo di scrivere: al periodare ampio e strutturato, egli preferisce l'aforisma, caratterizzato dalla forma concisa, essenziale e folgorante di punti cruciali, attraverso stringate argomentazioni e rapide illuminazioni: inoltre l'aforisma, che Nietzsche mutua da Eraclito, è tipico delle filosofie non-sistematiche e ben risponde all'esigenza della filosofia nietzscheana di operare come un martello che distrugge le verità e che saggia le campane per vedere se suonano bene (fuor di metafora: gli aspetti della civiltà occidentale), o se debbano essere abbattute.
Egli si avvale di questo stilema narrativo in quasi tutte le sue opere, fatta eccezione per La nascita della tragedia e per le Considerazioni inattuali, dove invece prevale la forma accademica del saggio, ossia la trattazione di un tema che procede gradualmente passo dopo passo, poichè l'argomento trattato lo costringe a percorrere quella strada; nel capolavoro di Nietzsche, Così parlò Zarathustra: ci si avvicina alle Sacre Scritture e non a caso il protagonista stesso (Zarathustra) è un profeta o, meglio, è un "Anticristo", ovvero predica un modo di vita diametralmente opposto a quello delineato da Cristo. Proprio come nei Vangeli, si racconta la vita del profeta inframmezzata da parabole e scintillante di metafore. 
(A. G. 2008 - VA Liceo Scientifico - Gragnano)

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