martedì 27 settembre 2011

Jamalee Burton (indiana Cherokee)

Mi dispiace di averti dovuto uccidere, piccolo fratello
ma ho bisogno della tua carne,
perché i miei figli soffrono la fame
Perdonami, piccolo fratello.

Io voglio onorare il tuo coraggio,
la tua forza e la tua bellezza
  guarda!

Io appendo le tue corna a quest' albero;
ogni volta che vi passerò davanti, penserò a te
e renderò onore al tuo spirito.

Mi dispiace di averti dovuto uccidere,
perdonami piccolo fratello.
Guarda, in tua memoria io fumo la pipa,
io brucio questo tabacco.

Capo Seattle

Capo Seattle fu capo degli Indiani Suquamish e Duwamish che abitavano le regioni nord-ovest dell’America, presso l’Oceano Pacifico, visse dal 1790 al 1866 e come capo prese parte alle trattative con i coloni bianchi per la cessione al governo di Washington delle ultime terre rimaste al popolo Indiano sopraffatto dall’impari e sanguinosa guerra che aveva tolto loro un intero continente nel corso di pochi secoli (dal 1492 in poi), decimando un popolo fiero e rispettoso della natura relegandolo in "riserve" sempre più piccole: in tale occasione Capo Seattle rivolse all’assemblea con voce tonante un discorso rimasto leggendario nella sua semplicità e potenza:
"Come potete acquistare il cielo?  Come potete possedere la pioggia ed il vento? 
Mia madre mi disse: ogni parte di questa terra é sacra per la nostra gente, ogni ago di pino, ogni spiaggia sabbiosa, ogni nebbia nei boschi ombrosi, ogni prato ed ogni insetto ronzante, sono tutti sacri nella memoria della nostra gente.
Mio padre mi disse: io conosco la linfa che scorre negli alberi come conosco il sangue che scorre nelle mie vene, noi siamo parte della terra ed essa é parte di noi, i fiori profumati sono le nostre sorelle, l’orso, il cervo, la grande aquila, sono nostri fratelli, i crinali rocciosi, i prati, i puledri ... appartengono tutti alla stessa famiglia. 
La voce dei miei progenitori mi disse: l’acqua scintillante che scorre nei fiumi e nei torrenti non é semplicemente acqua, ma é il sangue del nonno di tuo nonno, ogni riflesso che produce immagini nelle chiare acque dei laghi racconta la vita della nostra gente, il mormorio dell’acqua é la voce della nonna della tua bisnonna, i fiumi sono nostri fratelli, essi placano la nostra sete, trasportano le nostre canoe e nutrono i nostri figli, nei confronti dei fiumi dovreste esprimere la stessa gentilezza che dimostrate verso ogni fratello. 
La voce di mio nonno mi disse: l’aria é preziosa, condivide il suo spirito con tutte le forme di vita che sostiene, il vento che mi diede il primo respiro ha accolto anche il mio ultimo sospiro, dovete preservare la terra e l’aria e considerarle in modo sacro, affinché vi possano essere dei luoghi dove poter andare a gustare il vento addolcito dal profumo dei fiori di campo. 
Quando l’ultimo uomo e l’ultima donna Pellerossa saranno scomparsi con le loro terre selvagge ed il loro ricordo sarà soltanto l’ombra di una nube che si sposta attraverso la prateria, esisteranno ancora le spiagge e le foreste? Sarà rimasto qualcosa dello spirito del mio popolo? I miei antenati mi dissero: noi sappiamo che la terra non ci appartiene: noi apparteniamo alla terra. 
La voce di mia nonna mi disse: insegnate ai vostri figli quanto vi é stato insegnato, la terra é nostra madre, quello che accade alla terra accade a tutti i figli e le figlie della terra. 
Ascoltate la voce dei miei antenati, il destino del vostro popolo é un mistero per noi, che cosa accadrà quando tutti i bisonti saranno stati massacrati e quando tutti i cavalli selvaggi saranno stati domati? Che cosa accadrà quando gli angoli nascosti delle foreste saranno appesantiti dall’odore di molti uomini? Quando il paesaggio armonioso delle colline sarà macchiato dai fili parlanti , dove saranno andati tutti i boschi? Scomparsi! Dove sarà l aquila? Scomparsa! E cosa accadrà quando diremo addio al veloce puledro e alle zone di caccia? Sarà la fine della vita e l’inizio della sopravvivenza!
Questo noi sappiamo: tutte le cose sono collegate, come il sangue che ci unisce, noi non tessiamo la trama della vita, siamo solo un filo di essa, qualunque cosa facciamo al tessuto la facciamo a noi stessi.
Noi amiamo questa terra come il neonato ama il battito del cuore di sua madre, se venderemo a voi la nostra terra, abbiatene cura, come ne abbiamo avuto cura noi.
Tenete viva nella vostra memoria la terra così com' é quando la ricevete.
Proteggete la terra, l’aria, i fiumi per i figli dei vostri figli e amate queste cose come noi le abbiamo amate.

Tommaso Moro: il "LIBRO D'ORO" Parigi 1549


Signore, donami una buona digestione
ed anche qualcosa da digerire.
Donami la salute del corpo
ed il buon umore necessario per mantenerla.
Donami, Signore, un'anima semplice che sappia far tesoro di tutto ciò che é buono
e non si spaventi alla vista del male, ma piuttosto trovi sempre il modo di rimettere le cose a posto.
Dammi un'anima che non conosca la noia, i brontolamenti, i sospiri, i lamenti
e non permettere che mi crucci eccessivamente
per quella cosa troppo ingombrante che si chiama "io".
Dammi, Signore, il senso del buonumore.
Concedimi la grazia di comprendere uno scherzo, per scoprire nella vita un pò di gioia
e farne partecipe anche gli altri.


Il millepiedi

Un millepiedi viveva sereno e tranquillo. Finché un rospo un giorno non disse per scherzo:
"In che ordine metti i piedi l'uno dietro l'altro?"
Il millepiedi incominciò a lambicarsi il cervello e a fare innumerevoli prove.
Il risultato fu che da quel momento non riuscì più a muoversi.

L'uomo e la Tigre

Un uomo stava camminando nella foresta quando s'imbatté in una tigre. Fatto dietro-front precipitosamente, si mise a correre inseguito dalla belva. Giunse sull'orlo di un precipizio, ma per fortuna trovò da aggrapparsi al ramo sporgente di un albero.
Guardò in basso, e stava per lasciarsi cadere, quando vide sotto di sé un'altra tigre. Come se non bastasse, arrivarono due grossi topi, l'uno bianco e l'altro nero, che incominciarono a rodere il ramo.
Ancora poco e il ramo sarebbe precipitato.
Fu allora che l'uomo scorse accanto a sé una bellissima fragola. Tenendosi con una sola mano, con l'altra spiccò la fragola e lo mangiò.
Com'era dolce!

'O Recano


Ancora oggi, ad un secolo e mezzo dai fatti, i nostri vecchi ricordano antiche storie di briganti.
D’un tempo in cui a sud di Roma prosperava (contrariamente a quanto raccontato nei libri di storia scritti dai conquistatori) o cresceva in civiltà e benessere uno Stato autonomo (Da Ruggiero II d’Altavilla -1095-1154 — re di Sicilia dal 1130 — a Francesco II di Borbone (1836-1894) — re delle Due Sicilie fino al 1861 —, le terre del Mezzogiorno d’Italia sono state unite nella stessa realtà statuale, ordinata sempre, tranne le brevi parentesi repubblicane del 1647-1648 e del 1799, nella forma monarchica), veramente Italiano ci giungono le gesta di un povero taglialegna costretto da un eccesso di vendetta, contro un’ingiustizia a vivere per anni latitante tra quei monti che avevano accolto il suo sudore.
Antonio ‘o recano sosteneva la sua famiglia col faticoso lavoro dei boschi, alle dipendenze di un padrone severo ed ingiusto, che più volte conteggiava ad Antonio e ai suoi compagni una quantità di legno lavorato minore di quello effettivo.
Un giorno l’imbroglio fu più evidente e maggiormente insopportabile, e dalla discussione si passò alla violenza. Così il padrone rimase ucciso e nascosto in un luogo segreto e ricoperto di felci. Tra gli immensi castagni che sembrano proteggere la strada che da Pimonte porta verso Castellammare di Stabia.
Strada ben tenuta e frequentata a quei tempi, sia perché conduceva alla prospera città dei Cantieri navali, orgoglio dei Borboni e del mondo intero, sia perché lungo quella strada, i reali si spingevano per le loro battute di caccia o per recarsi presso la Chiesa di San Michele Arcangelo in Pimonte a venerare le reliquie della Spina Santa, quando risiedevano nel loro bellissimo palazzo di Quisisana, a due, tre chilometri da Pimonte.
La moglie dell’ucciso denunciò alle forze dell’ordine quel delitto affermando che il marito le era venuto in sogno raccontandole fatti e luoghi.
Iniziò così la selvaggia latitanza di Antonio ‘o recano tra quei monti ricchi di grotte, e posti impervi. E la sua fama si diffuse in breve tempo un pò dovunque per la sua fama di imprendibile ed essendo lo stesso costretto a taglieggiare i passanti per sopravvivere.
Era un uomo forte, di quelli temprati dal durissimo lavoro dei boscaioli.
Si racconta che due baldanzosi giovani, nel recarsi a Castellammare, discutessero su cosa avrebbero fatto se avessero incontrato il bandito; uno affermava che avrebbe avuto paura e avrebbe finto di non vederlo, l’altro, invece, si vantava, forte della sua robustezza e guapperia, che lo avrebbe affrontato e malmenato.
Il brigante, che dai cespugli lungo la strada aveva ascoltato tutto, balzò improvvisamente dinanzi al giovane dicendogli: “eccomi qua, famme vedé che vvuò fa!”. Il terrore aveva immediatamente preso il posto della baldanza e ‘o recano aveva lasciato andare via il malcapitato, che si dice sia morto di spavento dopo tre giorni.
Durante uno dei suoi taglieggiamenti il brigante un giorno si era presentato dinanzi ad un nobile che percorreva quei posti, presentandosi e chiedendogli la borsa. Il signore, spaventato a morte non aveva opposto resistenza ed era invece rimasto sorpreso vedendo che dalla borsa il bandito aveva tratto solo il minimo per vivere qualche giorno.
Rivalutando un po’ la fama di animale e criminale che le autorità attribuivano a quell’uomo comunque non eccessivo nell’aggressione, aveva allora chiesto come mai ed il latitante aveva risposto che avrebbe poi trovato qualche altro per chiedere qualcosa per i giorni futuri: “dimane Ddio nce penza!.
Questo nobile offrì allora al brigante l’opportunità di costituirsi, assicurando che avrebbe fatto di tutto (mettendo una buona parola con gli amici “altolocati” che aveva) affinché ricevesse una punizione che tenesse conto di tutte le attenuanti.
Antonio ‘o recano, che non aveva creduto nel suo smascheramento per il sogno, ma sapeva di una spiata, chiese al nobile tre giorni per operare la vendetta, al che, timidamente si sentì rispondere che in quel caso non avrebbe potuto ottenere l’aiuto che si da a chi si pente.
E così continuò la usa vita da latitante.
Finchè fu catturato.
Ma dal treno che in catene lo portava al bagno penale, il bandito saltò mentre era in corsa e fattosi liberare da un fabbro continuò la sua latitanza …

Finchè le truppe di un esercito straniero, che avevano attaccato il Regno delle Due Sicilie senza una dichiarazione di guerra, a capo del massone Garibaldi, non avevano conquistato ed iniziato a deturpare il bel paese, soprattutto grazie ai tradimenti di generali massoni.
Numerosi fuoriusciti dell’esercito, desiderosi di restaurare Francesco II e disgustati dalle angherie, dai soprusi ed abusi, dei Mille e più ladroni, presero così la via dei boschi, della latitanza, e così numerosi giovani che rifiutavano la coscrizione obbligatoria, sconosciuta nella loro patri.
In quei boschi era ‘o Rre Antonio ‘o recano, esperto di quei posti ed oramai famoso e carismatico in tutti i paesi dintorno …

Frutta d'Autunno

Con l’autunno l’organismo si prepara per affrontare nuovi ritmi, nuove esigenze: stanchezza, irrequietezza, difficoltà digestive, vulnerabilità alle infezioni, cambiamenti di umore, ecc., ecc.
E’ il momento, se già non è nostra abitudine, di arricchire la nostra alimentazione con tanta frutta e verdure, ricordando di fare almeno due leggeri, ma sani, spuntini, metà mattina e metà pomeriggio, un po’ di movimento in più e riprendere a disintossicarsi anche con rimedi naturali (pianta intera di Cardo, Foglie di Carciofo, Radice di Tarassaco, Bardana, Rafano Nero, Rizoma di Rabarbaro, Boldo, Fumaria, Ribes Nigrum, Mirtillo, More, Celidonia, Liquirizia), ripristinando una sana flora intestinale con rimedi a base di fermenti intestinali, senza dimenticare una giusta integrazione di sali minerali e vitamine.
Una sana alimentazione, leggera e nutriente, ricca di frutta di stagione (ottime le macedonie con tanto succo di limone ed arance, mele e kiwi) e di verdure, integrate con aromi di salvia, basilico, origano, zenzero, e timo, con la giusta associazione di cibi, è certamente il presupposto fondamentale.
Per ricaricarsi una macedonia a colazione, ad esempio con due fichi, un grappolo d’uva, tre susine, qualche gheriglio di noce, un cucchiaino di pinoli, due, tre mandorle, un cucchiaino di uva passa e, volendo, uno yogurth, ci forniscono gran parte di ciò che ci serve. Sciroppo d’acero…
Il fico è il frutto che in questo periodo può essere di immenso aiuto, rigenera le mucose uterine (somiglia all’utero), e favorisce mestruazioni regolari, depura la pelle (anche mettendo qualche buccia nella vasca da bagno) e l’intestino, è raccomandato in gravidanza, per la crescita dei bambini, contro l’affaticamento fisico e mentale. L’acqua di fichi freschi ha azione lassativa (di sera si versa una tazza di acqua tiepida su tre, quattro fichi sbucciati e si consuma tutto al mattino).

La mela non contiene grassi né colesterolo né sodio; anche se non hanno molte vitamine, sono molto ricche di fibre, che aiutano a tenere basso il livello di colesterolo e aiutano a prevenire il cancro (una sola mela assicura il 20% delle fibre di cui abbiamo bisogno ogni giorno per stare in buona salute) contiene polifenoli antiossidanti, cioè antiradicali liberi. Tra le tante varietà di mela quella più pregiata sembra proprio la “nostra” mela annurca, più ricca di vitamine e sali minerali, croccante e gustosa: forse il proverbio tanto citato della mela al giorno… si riferiva proprio a questa preziosissima qualità.

La pera è ricca di fibre (una sola pera al giorno significa coprire il 16% del fabbisogno quotidiano di fibre) e di vitamina C. Le pere contribuiscono alla buona digestione e mantengono basso il livello di colesterolo. Inoltre sono ottime nelle diete ipocaloriche in quanto non contengono grassi. Per poterle gustare al meglio vanno mangiate quando la loro buccia è leggermente morbida al tatto.
A proposito di mele e pere, uno studio olandese ha pubblicato i risultati sulla rivista American Journal of Respiratory and Critical Care Medicine. Questo tipo di frutta, infatti, sarebbe ricca di catechina, una sostanza della famiglia dei flavonoidi. I ricercatori hanno studiato le abitudini alimentari di 14.000 persone e hanno rilevato che chi consumava abitualmente due o tre pere o mele al giorno aveva condizioni polmonari e respiratorie decisamente migliori rispetto ai soggetti che escludevano dalla loro dieta questi frutti.

Ricco invece di carotenoidi è il kaki (‘a lignasanta): originario del Nord America e dell'Asia, considerato frutto nazionale in Giappone, il kaki presenta un altissimo contenuto di fibra (rallenta l'assorbimento intestinale dei grassi, colesterolo e glucosio), polifenoli e potassio (utilissimo per cuore e muscoli), hanno anche un potere antiossidante decisamente maggiore rispetto a quello di altri frutti, sono una eccellente fonte di beta-carotene e criptoxantina (a cui si deve il caratteristico colore arancione).

Le susine sono ricche di fosforo, manganese e vitamine del gruppo B, utili per la pelle, il loro succo, preso a digiuno, riequilibra la funzione intestinale.

Se vogliamo invece fare il pieno di vitamina C, oltre ovviamente a mangiare la classica arancia, possiamo deliziarci con il melograno, da sempre simbolo di prosperità, e noto sin dal tempo degli antichi romani come valido antidoto per vari disturbi, la melagrana, ricca di antiossidanti (tre volte maggiore di quella del vino rosso e del tè), è ottimo per rallentare l’invecchiamento, inoltre ha anche una funzione chemiopreventiva nei confronti dei tumori ormono-dipendenti.

Ottimo anche il kiwi che svolge un'azione dissetante, rinfrescante, diuretica e depurativa; grazie all'elevato contenuto di vitamina C (la sua polpa soda, dolce e acidula contiene infatti più vitamina C di limoni, arance e peperoni), poi, favorisce le difese naturali dell'organismo e protegge la parete vascolare. Inoltre il Kiwi ha una elevata quantità di fibra alimentare (16 % di fibre), il 14 % di Potassio e il 10 % di Vitamina E, il frutto contrasta i segni del tempo neutralizzando i radicali liberi che uccidono le cellule. E’ ricco in folato un elemento essenziale in gravidanza per la prevenzione dei disturbi dello sviluppo del tubo neurale del feto. La pectina in esso contenuta crea un appagante senso di sazietà, contribuisce ad abbassare i livelli di colesterolo nel sangue, inoltre il frutto verde ha dimostrato la capacità di ridurre i livelli di trigliceridi nel sangue del 15%, contribuisce a migliorare il transito del cibo nel tubo intestinale prevenendo la stipsi, svolge un effetto di controllo sul valore del glucosio nel sangue (glicemia) programmando un assorbimento intestinale del glucosio lento e continuo, condizione questa assai vantaggiosa per chi soffre di diabete. I suoi livelli di amino arginina sono efficaci nell'aiutare gli uomini con difficoltà sessuali.
I ricercatori della Teikyo University di Tokyo, hanno pubblicato su Biological and Pharmaceutical Bulletin il resoconto di una ricerca che si concentra sui livelli di antiossidanti presenti nel frutto. Ne è emerso che il contenuto globale di polifenoli è superiore a quello di ogni altro frutto e che la varietà migliore è la Gold, più ricca di antiossidanti di quella verde, più comune. 
Per alcuni ricercatori dell’Università di Oslo, invece, assumere un kiwi al giorno equivale a prendere un'aspirina giornaliera nella prevenzione delle malattie cardiovascolari, ma senza i danni collaterali all'apparato gastrointestinale che questa provoca. Il kiwi contrasterebbe l’accumulo di depositi e placche nelle arterie.
Secondo una ricerca pubblicata sulla rivista Opthamology, mangiando 3 kiwi al giorno si ridurrebbe il rischio di degenerazione maculare, grazie a due sostanze benefiche: la luteina, che filtra i raggi dannosi e previene la degenerazione maculare, il glaucoma e la cataratta, e la zeaxantina che potenzia le virtù della luteina, mantenendo l’occhio giovane. . 

Oltre all'elevato contenuto in acqua, che ne esalta il potere dissetante, il melone bianco presenta un'alta percentuale di sali minerali e vitamine A e C.

L'uva è molto ricca di zuccheri facilmente digeribili, soprattutto fruttosio e glucosio, che viene appunto chiamato "zucchero d'uva". L'uva passa è ancora più dolce, perché grazie all'eliminazione di gran parte dell'acqua gli zuccheri sono ancora più concentrati. L'una e l'altra contengono inoltre buone quantità di sali minerali, soprattutto potassio e calcio, mentre non contengono tante vitamine. La buccia e i semi, infine, facilitano il passaggio dei cibi nell'intestino e sono utili a chi soffre di stitichezza.

Mandarini, dissetanti e ricchi di vitamine e Sali minerali, utili per contrastare i problemi di diabete e di cuore (nella buccia del tangerino, una varietà di mandarini, vi sarebbe una sostanza naturale la nobitelina, un flavonoide in grado di agire contro il diabete e di scongiurare obesità, infarto e ictus). Questa stessa sostanza combatte i rischi di obesità, l'indurimento delle arterie e altri eventi connessi.

Consumate spesso anche i pinoli, e soprattutto quelli vesuviani, noti in tutto il mondo per le eccezionali proprietà aromatiche e per tale ragione sono richiesti ed impiegati in svariate ricette di cucina e pasticceria.
La frutta oleosa rappresenta un’indispensabile alimento per mantenere in equilibrio l’organismo, anticamente nelle nostre regioni noci e castagne occupavano il primo posto nell’alimentazione, le noci ad esempio sono ricche di sostanze grasse benefiche e, come le leguminose ricche di proteine, noci e soia ad esempio possono sostituire la carne.
Nel suo Codice Atlantico Leonardo scriveva: “troverassi dentro a de’ noci e de li alberi e altre piante, tesori grandissimi, i quali là stanno occulti”, infatti le nostre noci (la Juglans regia in fitoterapia viene utilizzata in casi di ulcere varicose, malattie cutanee, epatiche, pancreatiche e dell’apparato uro genitale e per ridurre il colesterolo) contengono il 56% di olio in maggior parte acido linoleico, sono ricche di rame, zinco, ferro, calcio e numerose vitamine, antiossidanti, fibre, ecc. e secondo recenti studi statunitensi hanno, insieme ad altri tipi di frutta secca in guscio, un forte effetto protettivo nei confronti della cardiopatia ischemica.

La nocciola, che un tempo ricopriva intere regioni dell’Europa ha una composizione in sostanze grasse simile all’olio d’oliva, in provincia di Avellino si coltivano attualmente 700 ettari di ottime nocciole (Corylus avellana, in fitoterapia questa pianta viene utilizzata nelle gravi insufficienze epatiche, nelle arteriti e nelle sclerosi polmonari), sono ricche di calcio, fosforo, magnesio, potassio, zolfo, cloro, ferro, rame, vitamine, ecc., i frutti freschi sono consigliati ai diabetici, in caso di calcoli urinari e coliche renali, quelle tostate sono utili per attenuare la nausea della gravida, se masticate a lungo, un cucchiaio di olio di nocciole sembra essere il miglior rimedio contro la tenia, va preso al mattino a digiuno per almeno 15 giorni.

Le mandorle ricche in carboidrati proteine e sostanze grasse benefiche sono anche ricche in calcio e magnesio, in proporzione ottimale e risultano utili in gravidanza ed in menopausa per rafforzare tutto l’organismo, il latte di mandorle può essere un ottimo alimento per i bambini e in caso di magrezza patologica e nelle convalescenze.
Si prendono 50 g di mandorle spellate e si pestano in un mortaio, inumidendole con un po' d'acqua, in modo da ottenere una pasta che si andrà a diluire con 300 g di acqua, si mescola accuratamente e si filtra attraverso un colino a maglia fine. Si aggiunge altra acqua fino a raggiungere 500 g, quindi vi si sciolgono 30 g di miele: si somministra nelle in­fiammazioni intestinali, per calmare la tosse e in caso di cistite; è inoltre un buon tonico di facile digeribilità per convalescenti e neonati, per i quali può, in caso di necessità, surrogare anche il latte materno.
Se le mandorle amare sono molto pericolose anche se ingeri­te in minima quantità (meno di 50 mandorle per un uomo e 15 per un bam­bino provocano un'intossicazione tanto grave da condurre alla morte) quelle dolci, viceversa, sono un alimento estremamente energetico. Con­tengono acido oleico e linoleico, zuccheri, proteine, vitamine A e B, sali mi­nerali (calcio, fosforo, potassio, zolfo, magnesio, ferro); tuttavia per il loro alto va­lore calorico è bene mangiarne con moderazione: una decina di mandorle al giorno sono più che sufficienti come riminera­lizzante e riequilibrante nervoso (in fitoterapia il Prunus amygdalus è utilizzato come anti sclerotico, anti ipertensivo ed anti aggregante piastrinico).
Una ricetta Ayurvedica: Lasciate in acqua dieci mandorle per una notte. Al mattino rimuovetene la pellicina e ponetele in un frullatore con una tazza di latte caldo (o meglio semplicemente acqua minerale o di sorgente). Aggiungete un pizzico di cardamomo, un pizzico di pepe nero appena tritato, eventualmente una fogliolina di basilico fresco ed un pizzico di zenzero e un cucchiaino di miele. Frullate per cinque minuti e bevete. Questa bevanda aiuta ad aumentare l'energia.

Il Castagno é originario dell'Europa meridionale, la castagna fresca contiene il 6% di proteine, il 4% di sostanze grasse (la vit. F è assente), il 40% di farinacei e di zucchero e il 47% di acqua, un alimento importante e prezioso per l’uomo.
La Castanea sativa appartiene alla famiglia delle fagacee. Questa pianta è molto antica; risale al Cenozoico ed è diffusa in una vasta area che va dall'Asia minore all'Europa meridionale, all'Algeria. L'Italia conta la maggiore superficie di castagneti in Europa, con circa 800.000 ettari. Le varietà presenti in Italia sono moltissime, circa trecento; in particolare, i castagneti della zona del Mugello hanno ottenuto dalla Cee nel 1996 il marchio Igp, che ne riconosce la qualità. Il castagno è longevo ma caratterizzato da uno sviluppo molto lento; può raggiungere i trentacinque metri di altezza e i due metri di diametro. I frutti maturano nel periodo autunnale, da settembre a novembre. Bisogna distinguere le castagne dai marroni: le castagne sono il frutto del castagno selvaggio (ogni riccio ne contiene di solito tre), mentre i marroni sono il frutto degli alberi coltivati (ogni riccio ne contiene uno solo).
Rispetto alla frutta fresca, l'apporto calorico delle castagne fresche (210 calorie circa per 100 g) è superiore, inoltre le castagne contengono anche proteine vegetali, sali minerali, vitamine idrosolubili, mentre sono prive di vitamina C. La composizione della castagna è simile a quella del grano; tuttavia il suo valore nutritivo è inferiore a quello della farina di grano. Un altro pregio della castagna è legato alla sua struttura particolare: il riccio infatti protegge il frutto dai residui dei trattamenti chimici.
Le castagne possono essere utilizzate nella preparazione di varie pietanze, oppure possono essere consumate direttamente, sia bollite in acqua e sale (ballotte), sia cotte in apposite padelle forate (caldarroste, meno digeribili a causa delle inevitabili imperfezioni della cottura). Vengono anche utilizzate per la preparazione di dolci, marmellate e confetture. Le castagne possono anche essere essiccate; dalle castagne secche si ricava la farina con cui poi si prepara il castagnaccio.

Il pistacchio a mandorla verde appartiene alla stessa famiglia degli anacardi; è il frutto di un albero resinoso che cresce nelle regioni più aride dell'Oriente e della Sicilia.
I pistacchi contengono il 22% di proteine, il 14% di glucidi e il 54% di sostanze grasse, di cui il 10% di vitamina F.
Una delle noci più ricche di grassi è quella del Brasile, frutto di un albero che appartiene alla stessa famiglia dell'Eucalipto e del Mirto. Ha una percentuale di olio del 68%, il 18% di vitamina F, il 15% di proteine, e solo il 4% di glucidi. 100 grammi di noci del Brasile forniscono 700 calorie, vale a dire l'equivalente di un litro di latte.

Gli effetti benefici della frutta secca sono invece stati testati dagli esperti del dipartimento di nutrizione della Harvard University, negli Usa, pubblicato sul British Medical Journal. Lo studio, durato 14 anni e condotto su 85mila persone, ha confermato come mangiare qualsiasi tipo di frutta secca riduca significativamente le probabilità di attacchi di cuore e l’incidenza di malattie coronariche.

Donne che corrono coi lupi (Clarissa Pinkola Estés)

C’è una vecchia che vive in un luogo nascosto che tutti conoscono ma pochi hanno visto…
…E’ circospetta, spesso pelosa, sempre grassa, e desidera evitare la compagnia. Emette suoni più anirnaleschi che umani.
Dicono che viva nelle putride scarpate di granito nel territorio in­diano di Tarahumra.
Dicono sia sepolta alla periferia di Phoe­nix, vicino a un pozzo. Dicono che è stata vista in viaggio verso il Monte Alban su un carro bruciato, con il finestrino posteriore aperto. Sta accanto alla strada poco distante da EI Paso, dicono cavalca impugnando un fucile da caccia insieme ai coltivatori ver­so Morelia, Messico; l’hanno vista avviarsi al mercato di Oaxaca con strane fascine sulle spalle. Ha molti nomi: La Huersera, La Donna delle Ossa; La Trapera, La Raccoglitrice, La Loba, La Lupa.
L’unica occupazione della Lupa è la raccolta delle ossa. Noto­riamente raccoglie e conserva in particolare quelle che corrono il pericolo di andare perdute per il mondo. La sua caverna è piena di ossa delle più varie creature dèl deserto: il cervo, il crotalo, il cor­vo.
Ma si dice che la sua specialità siano i lupi.
Striscia e setaccia le montagne e i letti prosciugati dei fiumi, alla ricerca di ossa di lupo, e quando ha riunito un intero scheletro, quando l’ultimo osso è al suo posto e la bella scultura bianca della creatura sta davanti a lei, allora siede accanto al fuoco e pensa quale canzone cantare.
E quando è sicura, si leva sulla creatura, solleva su di lei le brac­cia, e prende a cantare. Allora le costole e le ossa delle gambe co­minciano a ricoprirsi di carne e le creature si ricoprono di pelo. La Lupa canta ancora, e quasi tutte le creature tornano in vita, con la coda ispida e forte che si rizza.
E ancora La Loba canta e il lupo comincia a respirare.
E ancora canta, così profondamente che il fondo del deserto si scuote, e mentre lei canta il lupo apre gli occhi, balza in piedi e corre lontano, giù per il canyon.
In un momento della corsa, per la velocità della corsa medesi­ma, o perché finisce in un fiume, o perché un raggio di sole o di luna lo colpisce alla schiena, il lupo è d’un tratto trasformato in una donna che ride e corre libera verso l’orizzonte.
Così, si dice, se vagate nel deserto, ed è quasi l’ora del tra­monto, e vi siete un pò perduti, e siete stanchi, allora siete fortu­nati, perché forse La Lupa può prendervi in simpatia e mostrarvi qualcosa — qualcosa dell’anima.

lunedì 26 settembre 2011

Messaggio per un'aquila che si credeva un pollo (Antony de Mello)

Un uomo trovò un uovo d’aquila e lo mise nel nido di una chioccia.
L’uovo si schiuse contemporaneamente a quelle della covata, e l’aquilotto crebbe insieme ai pulcini.
Per tutta la vita l’aquila fece quel che facevano i polli del cor­tile, pensando di essere uno di loro.
Frugava il terreno in cerca di vermi e insetti, chiocciava e schiamazzava, scuoteva le ali alzandosi da terra di qualche centimetro.
Trascorsero gli anni, e l’aquila divenne molto vecchia. Un giorno vide sopra di sé, nel cielo sgombro di nubi, uno splen­dido uccello che planava, maestoso ed elegante, in mezzo a forti correnti d’aria, muovendo appena le robuste ali dorate. La vecchia aquila alzò lo sguardo, stupita. Chi è quello? Chiese.
E’ l’aquila, il re degli uccelli, rispose il vicino, appartiene al cielo …

domenica 25 settembre 2011

Friedrich Wilhelm Nietzsche (1844-1900)


Nietzsche rappresenta la negazione del passato, il rifiuto di tutte le tradizioni, l’appello ad una svolta radicale, è il filosofo che mette in dubbio tutta la storia della filosofia occidentale, che cerca, dopo venticinque secoli di interpretazione metafisica dell’essere, un nuovo principio.

All’inizio della sua riflessione, Nietzsche fu influenzato da Schopenhauer, per il quale la vita è crudele e cieca irrazionalità, è dolore e distruzione.  Ma egli non si ferma al pessimismo di Schopenhauer: il sentimento tragico della vita è accettazione della vita stessa, è una esaltante adesione a tutti gli aspetti dell’esistenza, anche a quelli più terribili, poiché tutto fa parte dell’immensa marea della vita (VITALISMO).

Ne La nascita della tragedia (1872), N. vede nel mondo greco la stagione spiritualmente più alta e ricca dell’umanità. La civiltà greca era infatti nutrita da un vigoroso senso tragico, che è per N. l’autentico modo di rapportarsi alla vita: è accettazione di essa, coraggio davanti al Fato (atteggiamento Romantico). L'intera civiltà greca (e, indirettamente, quella occidentale) appare agli occhi di N. governata da due princìpi che egli identifica, rispettivamente, con il dio Apollo (il dio solare, emblema dell'equilibrio, dell'armonia, della razionalità e dell'ordine) e con il dio Dioniso (l'orgiastico dio della natura selvaggia che incarna il disordine, le forze irrazionali e istintive dell'uomo: Dioniso è l’accettazione entusiastica della vita e Zarathustra il suo profeta). La grande tragedia greca è la forma suprema di arte, in quanto in essa si compongono gli impulsi vitali creativi (spirito dionisiaco), e la moderazione, l’equilibrio, la razionalità (spirito apollineo): ma N. mette in risalto l'aspetto dionisiaco, attribuendogli anche un peso maggiore rispetto a quello apollineo. Prima che nascesse la tragedia, egli nota, vi è stato un alternarsi dei due atteggiamenti, per cui ora prevaleva la prospettiva caotica del dionisiaco, ora quella composta dell'apollineo: il dionisiaco genera anche l'apollineo, quasi come una barriera di difesa all'impeto dirompente dello spirito dionisiaco. Soffermando la propria attenzione sul mondo greco, N. cita espressamente il tempio dorico arcaico che, con la sua assoluta perfezione geometrica, rappresenta proprio l'ergersi dell'ordine apollineo in opposizione al caos dilagante del dionisiaco.
L'apollineo nasce come reazione alla tragicità dionisiaca della vita.
La crisi che sta vivendo la civiltà occidentale risale, per N. a quel tempo remoto del mondo greco, e legge appunto la nascita della tragedia come manifestazione di questo pessimismo latente che pervade il mondo greco, intravedendo il momento culminante dell'età greca non nella società dei tempi di Platone e Pericle, bensì nella civiltà arcaica, ancora venata dal pessimismo; in essa è cristallizzato un perfetto e armonico equilibrio tra lo spirito dionisiaco e quello apollineo: sulla scena, infatti, vengono rappresentati avvenimenti terribili che però risultano piacevoli agli spettatori (già Aristotele aveva riflettuto su questo paradosso): di fronte alla tragicità degli eventi messi in scena, si prova piacere perchè si esprime sì l'impeto dionisiaco, ma è "Dioniso che parla per bocca di Apollo", la tragicità dell'esistenza é sublimata dalla traduzione artistica, come se Apollo desse forma ai contenuti di Dioniso.
L'ottimismo è subentrato a partire dai grandi sistemi filosofici di Platone e Aristotele.

Se per Schopenhauer, dopo essersi accorti che la vita è tragica, non resta che uscirne al più presto, per N., viceversa, la si deve vivere fino in fondo, accettandola in ogni sua sfumatura (in Così parlò Zarathustra egli dice: "bisogna avere un caos dentro di sè per generare una stella danzante"). L'apollineo, per rimanere positivo, non deve perdere il suo contatto con il dionisiaco (da cui è generato): il problema sorge nel momento in cui Apollo non è più portavoce di Dioniso, ma parla con voce propria, diventando così autonomo. E il crollo della cultura greca, verificatosi agli occhi di N. nel V secolo a.C., è legato proprio a questo: con la produzione di Euripide il tragico sfuma e cede il passo alla razionalità, tendendo sempre più a diventare ottimistica. Socrate, dal canto suo, è il primo grande simbolo della grande razionalità filosofica della Grecia e il suo allievo, Platone, non fa che portare alle stelle questa tendenza: da quel momento fino all'epoca in cui vive N., la civiltà occidentale è sempre più andata, in modo irresistibile, verso una marcata compostezza ordinata e razionale, con il conseguente sganciamento dell'apollineo dal dionisiaco e la fine dell'equilibrio tra i due.
Nietzsche scorge nella figura di Wagner la possibilità di una rinascita della tragedia greca, intesa come antidoto al prevalere imperante dell'apollineo.

Dalle Considerazioni inattuali (1873-74) in poi, Nietzsche inizia la sua critica ad ogni manifestazione culturale.
In quanto poi alla storia essa serve all’uomo perché ha bisogno di avere dei maestri ideali. L’individuo non è altro che uno spettatore della Storia, che lo supera e lo travolge.
N.  individua tre diversi tipi di storiografia: quella "critica" ha un approccio critico con il passato e, dunque, si pone (sulla scia dell'Illuminismo) in forma correttiva rispetto ad esso; quella "monumentale", invece, esamina e celebra le azioni del passato e, infine, quella "antiquaria", come suggerisce il nome, nutre un culto, di stampo museale, del passato in quanto tale.
Ciascuna di queste tre tipologie è utile: la critica e l'esaltazione delle gesta del passato, infatti, sono uno stimolo per agire in modo migliore e, in modo analogo, perfino il radicamento museale nel passato può essere una buona premessa per agire meglio (pensiamo a Manzoni, che nell'Adelchi mette in scena vicende del passato radicate nella cultura italiana per aizzare il popolo ai moti risorgimentali). La storia, nelle sue tre sottodivisioni, è in perenne bilico tra l'essere utile e l'essere dannosa per la vita, e, proprio come fa Freud, egli propone sempre anche degli antidoti: se ne La nascita della tragedia aveva proposto l'opera wagneriana come possibile ritorno all'equilibrio tra apollineo e dionisiaco, ora, invece, sostiene che per far fronte al rischio che la storia possa danneggiare la vita si deve ricorrere all'arte e alla religione. L'arte, infatti, pressochè costante nell'opera nietzscheana, può costituire un'efficace cura per dar spazio alla creatività dell'uomo e al suo istinto creativo: si deve vivere la vita come un'opera d'arte (tesi che sarà particolarmente cara a D'Annunzio).

Nietzsche definisce il cristianesimo come "platonismo per il popolo", nel senso che afferma due realtà, di cui quella che non si vede è la più importante. Non solo: il cristianesimo oppone i valori del cielo a quelli della terra. Così esso è la religione dei deboli, dei vinti.
L’ateismo, appare quindi a Nietzsche come l’unica alternativa per liberare l’uomo.
Ne La gaia scienza N. sostiene che l’uomo ha ucciso Dio. "Dio è morto e noi l’abbiamo ucciso". La civiltà occidentale ha ucciso Dio a poco a poco, ma, uccidendo, ha perso ogni punto di riferimento. Dicendo che "Dio è morto!" N. vuol indicare insomma che sono morti gli ideali ed i valori del mondo occidentale. Dio è stato ucciso perché in Lui era sintetizzato tutto ciò che era contro la vita. Però, ora che Dio è morto, l’uomo non sa più che cosa fare: è privo di valori ed è quindi solo, sperduto "nel gran mare dell’essere", senza punto d’appoggio.
Nietzsche non era banalmente un "ateo", la religione gli sta a cuore nella misura in cui essa può promuovere la creatività umana: e se arriverà a condannare le religioni dei suoi tempi, lo farà quasi esclusivamente perchè esse uccidono la vitalità, non perchè sono menzognere; e, in questa fase del suo pensiero, non può fare a meno di constatare che nell'epoca d'oro della tragedia (quella di Sofocle e, soprattutto, di Eschilo) la religione era un patrimonio lussureggiante di miti e di immagini da vivere in prima persona con i riti e con le feste, cosicchè essa non ammazzava, ma anzi era una sorgente di vitalità umana.

Gli scritti successivi (Umano, troppo umano, 1878-80; Aurora, 1881; La gaia scienza, 1882), aprono la fase "neoilluministica" di Nietzsche.
Egli vuole deliberatamente mettere tutto in discussione: romanticismo, idealismo, positivismo, socialismo, evoluzionismo, cristianesimo, metafisiche e dogmatismi vari. Tutte le realtà che sono state presentate come nobili, vere, spirituali sono in realtà "umane, troppo umane", non esiste nessuna verità se non all’interno di una interpretazione ed in riferimento ad una particolare prospettiva. In altre parole, non vi sono verità evidenti se non all’interno di categorie storicamente instaurate dagli uomini.

Da un certo momento in poi N. abbandona la strada religiosa e scorge l'unico antidoto possibile nella scienza e per questo motivo questa nuova stagione del suo pensiero è stata spesso definita "illuministica", ma con un atteggiamento radicalmente diverso rispetto a quello positivistico, fiducioso che nel dato di fatto risiedesse la verità; più precisamente, la valutazione positiva che N. apprezza la scienza non in base ad un criterio di verità, ma piuttosto perchè capace di liberare l'uomo, proprio come, anni prima, aveva valutato positivamente la religione per la sua capacità di far emergere la capacità creativa. Ciò che più affascina N. della scienza e del suo essere utile per la vita è il fatto che essa indaghi sull'origine delle cose ed è per questo che la sua attenzione è rivolta precipuamente alla chimica e alla paleontologia.

In Così parlò Zarathustra (1883-85), N. mette in bocca a Zarathustra la dottrina della "morte di Dio", che è l’inizio della liberazione da tutti gli idoli metafisici. L’uomo vivrà felice e libero quando si sarà liberato da tutti i legami, anche da quelli stessi di "uomo" e "umanità". "L’uomo deve essere superato" affinché arrivi il Superuomo o Oltreuomo.
Il superuomo sarà un essere libero, socievole, che agirà per realizzare se stesso. E’ un essere che ama la vita, che non si vergogna dei propri sensi e vuole la gioia e la felicità. E’ un essere "fedele alla terra", alla vita, alla propria natura corporea e materiale, ai propri istinti e bisogni. Vive con  pienezza, sanamente, ha una volontà creatrice che istituisce valori nuovi (ecco il vero significato della volontà di potenza: la volontà di creare sempre, incessantemente, dei valori nuovi, cioè creare il senso della terra). Non più "tu devi", ma "io voglio".
La sua massima è: "Diventa ciò che sei".
Il superuomo è il filosofo dell’avvenire; è un uomo senza patria né mèta per poter insegnare ad amare la ricchezza e la transitorietà del mondo, per aprire la ricerca a nuovi orizzonti. Per N., tutto quanto accade, è già accaduto, e tornerà ad accadere. Nulla avviene a caso; e quando avviene, avviene per sempre, non si dissolve, ritorna eternamente. Questa dottrina – dice Nietzsche – è una condanna solo per gli uomini mediocri, poiché per essi torneranno sempre frustrazioni e sconfitte.
Tra i bislacchi personaggi che accompagnano Zarathustra nella sua avventura, vi è anche un nano che espone tale dottrina, secondo cui tutto ritorna su se stesso e per cui tutto quanto accade ora è già accaduto un'infinità di volte nel passato e accadrà un'infinità di volte nel futuro. Nel formulare questa strana teoria già esposta similmente dagli Stoici, Nietzsche si basa anche su studi scientifici e, in particolare, sulla constatazione che meccanicisticamente le possibili composizioni della materia, per quanto numerose, si esauriscono e, dopo esserci state tutte, ritorna quella di partenza.
L'oltreuomo che sa vivere in superficie e vivere pienamente la sua esistenza come un'opera d'arte, può per davvero desiderare di riviverla in eterno: secondo la logica della volontà di potenza, egli vuole proporci un'interpretazione particolarmente forte del mondo: se ci mettiamo nella prospettiva dell'oltreuomo e se quindi sappiamo vivere pienamente la vita, varrà la pena anche decidere di vivere come se la vita dovesse eternamente ritornare, momento per momento. Soltanto una vita pienamente vissuta si può desiderare che ritorni in eterno: nella dottrina del tempo lineare, ogni istante distrugge quello precedente, ogni cosa è travolta da quella che viene dopo e quindi se accetto tale dottrina non posso vivere pienamente, perchè so che ogni istante sarà distrutto da quello successivo, ma posso decidere di vivere come se ci fosse l'eterno ritorno, desiderando con ardore di rivivere ogni singolo istante della vita per l'eternità (amor fati), quasi come se al "no" alla vita di Schopenhauer si sostituisse un "" eterno ad essa: " la mia formula per la grandezza dell'uomo é amor fati: che cioè non si vuole nulla diverso da quello che é, non nel futuro, non nel passato, non per tutta l'eternità " ( Ecce Homo ). L’eterno ritorno è anche il che il mondo dice a se stesso, è una verità terribile, da amare: l’amor fati, che libera l’uomo dalla schiavitù del passato.

E così, la fase precedente al nichilismo, quella cioè dei valori morali e di Dio, simboleggia l'eternità, mentre quella del nichilismo passivo, privo di valori assoluti, è il tempo lineare che tutto travolge e nulla ha senso; l'ultima fase, quella del nichilismo attivo, è il divenire continuo che assume valore assoluto e tutto ciò è quanto accade nella dottrina dell'eterno ritorno, la quale fa assumere dignità di assoluto al divenire, tutto fluisce ma in modo circolare.

Nietzsche e Freud sono accomunati dall'aver smantellato in profondità, seppur con differenti modalità, le certezze del mondo ottocentesco e della sua fiducia razionalistica, già peraltro fatte scricchiolare da Schopenhauer e da Kierkegaard. Nietzsche è in piena sintonia con l'idea marxiana di una filosofia di trasformazione, per cui interpretare il mondo, senza mutarlo, è insufficiente e, nel proporre questo modo di pensare, egli rompe brutalmente una lunga tradizione, risalente ad Aristotele, la quale voleva la filosofia come sapere fine a se stesso. La vera filosofia non deve più domandarsi cosa è vero, ma cosa è utile per la vita.

Prima di proporre una nuova tavola di valori, Nietzsche si dedica allo smantellamento della morale. In Al di là del bene e del male (1886) e nella Genealogia della morale (1887), egli risale all’origine dei comportamenti morali. La morale per Nietzsche è uno strumento di dominio: in nome di tali valori, alcuni uomini (i "buoni") ne soggiogano altri (i forti). Vi sono infatti due tipi di morale: la morale dei sani, dei forti, che privilegia l’individualismo, la fierezza, l’amore per la vita; e vi è poi la morale degli schiavi, dei deboli, che è sociale e utilitaristica, che predica la democrazia e via dicendo.
La morale degli schiavi è nata col cristianesimo ed è sorta per il risentimento verso la classe dei forti: infatti i mediocri non sanno elaborare nulla di proprio e di autonomo, la vera azione è loro negata, ed allora trovano il compenso in una vendetta immaginaria. Perfino la democrazia e il socialismo sono il frutto di quest'atteggiamento di divinizzazione della morale..
L'uomo, osserva N., ha per natura il bisogno di dominare la realtà che lo circonda e, per fare ciò, sente la necessità impellente di imporsi delle regole comportamentali e conoscitive che lo difendano dalla realtà caotica e irrazionale in cui è immerso, proprio come, al tempo dei Greci, lo spirito apollineo era nato da quello dionisiaco. Quelli che vengono generalmente riconosciuti come "il bene" e "il male" sono tali perchè l'han stabilito i "padroni", afferma N. accostandosi in modo impressionante alle tesi che in quegli anni stava elaborando pure Marx; dopo di che, tuttavia, succede anche che nasca una morale dei servi, di coloro, cioè, che sono assoggettati in quanto deboli e che, con la loro morale, intendono negare la validità del diritto del più forte, proponendo, opposta ad essa, una " morale del risentimento ".  I deboli, che non sanno vivere, hanno fatto diventare valore la negazione della vita; è questa la vendetta dei deboli contro i forti. La morale tende così ad indebolire l’uomo. L’essere umano desiderava soddisfare le proprie pulsioni, realizzarsi in questo mondo. La morale lo ha invece spinto a credere in una specie di anti-mondo, lo ha portato ad allontanarsi dalla sua natura originaria, che è terrestre. Ma la natura si è vendicata e gli istinti si sono rifugiati all’interno dell’uomo ("Tutto ciò che è profondo, ama mascherarsi").
Nietzsche ha anticipato qui Freud: ha scoperto la resistenza degli istinti e delle pulsioni, la impossibilità di annullarli con la forza della coscienza e della morale. Ed ha scoperto che, se non sono liberati per vie naturali, essi possono esercitare un’azione ancora più perversa. L’uomo appare così a Nietzsche come un "animale malato".
Orbene, per liberare l’uomo da questo nichilismo N. propone una nuova tavola di valori che realizzino l’ideale della "grande salute". Per poterla attuare, egli ha elaborato i concetti di volontà di potenza, superuomo (ovvero oltreuomo) ed eterno ritorno.
La volontà di potenza (a cui N. dedica un'opera intitolata, appunto, La volontà di potenza ) è in un certo senso l'erede remoto della volontà schopenhaueriana: la stessa opera La nascita della tragedia era intrisa di concezioni schopenhaueriane e, soprattutto, l'elemento dionisiaco era quello in grado di cogliere la forza irrazionale che governa la realtà e che finiva per identificarsi con la volontà di Schopenhauer. Tuttavia, con la nozione di "volontà di potenza" N. si discosta dall'insegnamento del filosofo pessimista: Schopenhauer insisteva vivamente sulla necessità di capovolgere la volontà in nolontà, quasi come se si dovesse sfuggire alla volontà stessa; ora, a partire da La nascita della tragedia, N. sostiene invece che si deve accettare fino in fondo la tragicità dell'esistenza e trovare una specie di gioia paradossale nel vivere il caos fino in fondo.
Ma è bene notare come la volontà di potenza non sia volontà di esistere, poichè, propriamente, non c'è nulla che esista, ma è, invece, volontà di affermarsi, ma non con la violenza sui più deboli (come credevano i nazisti).

N. si scaglia soprattutto contro Platone, che nella Repubblica aveva contestato a Trasimaco il diritto del più forte, contro il cristianesimo, strenuo propugnatore dell'uguaglianza degli uomini di fronte a Dio, contro la democrazia e contro il socialismo ("balorda incomprensione di quell'ideale morale cristiano"); e dopo aver tuonato contro di essi, N. fa una scoperta sensazionale: la morale dei deboli può diventare morale della sopraffazione, poichè se essi si uniscono possono imporre i loro valori in modo coercitivo ma anche in modo "pacifico" e, in quest'ottica, l'ascetismo stesso, tanto caro a Schopenhauer, altro non è se non trasformare in valore l'incapacità di vivere la vita fino in fondo e voler costringere gli altri a cedere a tale valore. Perfino i martiri cristiani, sostiene N., commettono una violenza, poichè col martirio è come se imponessero agli altri i loro valori. Con queste riflessioni Nietzsche demitizza la morale e da ciò deriva un atteggiamento di nichilismo , ovvero una filosofia del nulla che prorompe dal venir meno dei punti di riferimento della morale: e Nietzsche distingue tra "nichilismo passivo", dipingendolo in negativo, e "nichilismo attivo", esaltato invece come altamente positivo. Se con Platone era invalsa la convinzione che esistessero due mondi distinti, uno intellegibile e perfetto, l'altro fisico e lacunoso perchè pallida copia dell'altro (e il cristianesimo aveva esasperato questa mentalità), si è poi scoperta la falsità di tale apparato ideologico e morale, cosicchè il mondo fisico ha perso ancora più consistenza perchè, se ai tempi di Platone e della morale cristiana, era considerato imperfetto ma comunque copia di quello ideale, ora si trova smarrito e senza punti di riferimento assoluti: domina dunque il nichilismo passivo.
Poi, però, nasce una nuova posizione: dopo aver dichiarato l'inesistenza del mondo dei valori assoluti, ci si accorge che di esso non c'è più bisogno (e forse non ce n'è mai stato), sicchè viene meno il rimpianto che caratterizzava il nichilismo passivo; il mondo sensibile resta l'unico e assume un valore assoluto, mai conosciuto in precedenza, poichè tutto il valore riconosciuto un tempo al mondo sovrasensibile si riversa ora su quello terreno e così, dal nichilismo passivo si passa a quello attivo, caratterizzato da un radicale immanentismo; il nuovo ateo, cioè, non rimpiange più il mondo dei valori, ma dice: "dio non c'è? Benissimo, allora dio sono io".

Non si elimina il bene e il male, ma si trasmuta il significato e questo atteggiamento volto a cambiare, non a distruggere, emerge bene dal titolo di un'opera del 1885-86 intitolata Al di là del bene e del male: l'uomo, smontata la morale e liberandosi dei valori "divini" imposti dall'esterno e dannosi per la vita diviene un "creatore di valori". Non si subiscono più in modo passivo i valori "divini", ma si vivono in modo gioioso e gaio quelli nuovi, terreni a tutti gli effetti.

N. può così arrivare ad affermare che "Dio è morto", ma non dice che non esiste, altrimenti avrebbe riproposto una nuova verità (la non-esistenza di Dio): Dio è morto nel senso che non ci serve più e da ciò emerge l'idea (fortissima in Così parlò Zarathustra ) del "congedarsi da Dio"; certo, ci sono stati momenti in cui Dio ha avuto un senso; nella Genealogia della morale riconosce che, in determinati periodi storici, la religione è stata necessaria e ha avuto un senso.
Più nello specifico, è il progresso che ha reso sempre più possibile la vita senza l'arsenale divino e morale, fino ad arrivare al nichilismo attivo, in cui si smarrisce ogni rimpianto per tali valori; e un ruolo di primissimo piano è stato svolto dalla tecnologia: l'uomo, infatti, finchè non è stato in grado di dominare materialmente la realtà, ha sentito l'esigenza di imporsi su di essa almeno concettualmente con l'idea di Dio e della morale. Ma poi, grazie al progresso e alla tecnologia, egli ha esteso il proprio dominio materiale sulla realtà e la validità di concetti come "Dio" e "morale" si è sgretolata, a tal punto che ancora oggi le società più evolute sono quelle dotate di regole meno fisse. E’ un congedo da Dio calmo e sereno che si attua nel momento in cui ci si accorge che quelle cose, un tempo indispensabili, ora non servono più e possiamo liberarcene in tutta tranquillità: " morti sono tutti gli dèi: ora vogliamo che il superuomo viva ".
Tuttavia, al termine superuomo, destinato a diventare un mito per le generazioni successive a N. e ad essere soggetto a clamorosi fraintendimenti, è preferibile usare quello di "oltreuomo", proprio per distinguere la concezione nietzscheana dalle poco fedeli interpretazioni fascistoidi e dannunziane.
Fondamentalmente, l'oltreuomo non è un essere superiore agli altri, ma la nuova figura che l'uomo dovrà assumere in futuro e N. se ne fa profeta soprattutto in Così parlò Zarathustra, un libro enigmatico che ha come protagonista quello Zarathustra, fondatore della religione persiana, che aveva contrapposto in modo nettissimo il bene al male. L'unica cosa che Zarathustra insegna è di non accettare insegnamenti, ma di creare nuovi valori: egli profetizza la venuta del superuomo, ovvero dell'uomo del futuro che si innesta nella civiltà postmoderna: vi sarà sì una fase provvisoria in cui esisteranno solo pochi oltreuomini in grado di cogliere come procede il futuro, ma ciò che li caratterizzerà sarà quel senso di "malattia" e di inattualità che ha accompagnato N. stesso per tutta la sua vita fino a culminare nella follia, la risata e la danza incarnano la leggerezza dell'oltreuomo, il suo poggiare non sull'essere, ma sul vuoto simboleggiano il suo saper " vivere in superficie ", quasi camminando sulle acque, proprio in virtù del venir meno di quella che Kant chiamava " cosa in sè ".

Nietzsche prende le distanze dalla tradizione anche per il modo di scrivere: al periodare ampio e strutturato, egli preferisce l'aforisma, caratterizzato dalla forma concisa, essenziale e folgorante di punti cruciali, attraverso stringate argomentazioni e rapide illuminazioni: inoltre l'aforisma, che Nietzsche mutua da Eraclito, è tipico delle filosofie non-sistematiche e ben risponde all'esigenza della filosofia nietzscheana di operare come un martello che distrugge le verità e che saggia le campane per vedere se suonano bene (fuor di metafora: gli aspetti della civiltà occidentale), o se debbano essere abbattute.
Egli si avvale di questo stilema narrativo in quasi tutte le sue opere, fatta eccezione per La nascita della tragedia e per le Considerazioni inattuali, dove invece prevale la forma accademica del saggio, ossia la trattazione di un tema che procede gradualmente passo dopo passo, poichè l'argomento trattato lo costringe a percorrere quella strada; nel capolavoro di Nietzsche, Così parlò Zarathustra: ci si avvicina alle Sacre Scritture e non a caso il protagonista stesso (Zarathustra) è un profeta o, meglio, è un "Anticristo", ovvero predica un modo di vita diametralmente opposto a quello delineato da Cristo. Proprio come nei Vangeli, si racconta la vita del profeta inframmezzata da parabole e scintillante di metafore. 
(A. G. 2008 - VA Liceo Scientifico - Gragnano)