martedì 27 settembre 2011

Jamalee Burton (indiana Cherokee)

Mi dispiace di averti dovuto uccidere, piccolo fratello
ma ho bisogno della tua carne,
perché i miei figli soffrono la fame
Perdonami, piccolo fratello.

Io voglio onorare il tuo coraggio,
la tua forza e la tua bellezza
  guarda!

Io appendo le tue corna a quest' albero;
ogni volta che vi passerò davanti, penserò a te
e renderò onore al tuo spirito.

Mi dispiace di averti dovuto uccidere,
perdonami piccolo fratello.
Guarda, in tua memoria io fumo la pipa,
io brucio questo tabacco.

Capo Seattle

Capo Seattle fu capo degli Indiani Suquamish e Duwamish che abitavano le regioni nord-ovest dell’America, presso l’Oceano Pacifico, visse dal 1790 al 1866 e come capo prese parte alle trattative con i coloni bianchi per la cessione al governo di Washington delle ultime terre rimaste al popolo Indiano sopraffatto dall’impari e sanguinosa guerra che aveva tolto loro un intero continente nel corso di pochi secoli (dal 1492 in poi), decimando un popolo fiero e rispettoso della natura relegandolo in "riserve" sempre più piccole: in tale occasione Capo Seattle rivolse all’assemblea con voce tonante un discorso rimasto leggendario nella sua semplicità e potenza:
"Come potete acquistare il cielo?  Come potete possedere la pioggia ed il vento? 
Mia madre mi disse: ogni parte di questa terra é sacra per la nostra gente, ogni ago di pino, ogni spiaggia sabbiosa, ogni nebbia nei boschi ombrosi, ogni prato ed ogni insetto ronzante, sono tutti sacri nella memoria della nostra gente.
Mio padre mi disse: io conosco la linfa che scorre negli alberi come conosco il sangue che scorre nelle mie vene, noi siamo parte della terra ed essa é parte di noi, i fiori profumati sono le nostre sorelle, l’orso, il cervo, la grande aquila, sono nostri fratelli, i crinali rocciosi, i prati, i puledri ... appartengono tutti alla stessa famiglia. 
La voce dei miei progenitori mi disse: l’acqua scintillante che scorre nei fiumi e nei torrenti non é semplicemente acqua, ma é il sangue del nonno di tuo nonno, ogni riflesso che produce immagini nelle chiare acque dei laghi racconta la vita della nostra gente, il mormorio dell’acqua é la voce della nonna della tua bisnonna, i fiumi sono nostri fratelli, essi placano la nostra sete, trasportano le nostre canoe e nutrono i nostri figli, nei confronti dei fiumi dovreste esprimere la stessa gentilezza che dimostrate verso ogni fratello. 
La voce di mio nonno mi disse: l’aria é preziosa, condivide il suo spirito con tutte le forme di vita che sostiene, il vento che mi diede il primo respiro ha accolto anche il mio ultimo sospiro, dovete preservare la terra e l’aria e considerarle in modo sacro, affinché vi possano essere dei luoghi dove poter andare a gustare il vento addolcito dal profumo dei fiori di campo. 
Quando l’ultimo uomo e l’ultima donna Pellerossa saranno scomparsi con le loro terre selvagge ed il loro ricordo sarà soltanto l’ombra di una nube che si sposta attraverso la prateria, esisteranno ancora le spiagge e le foreste? Sarà rimasto qualcosa dello spirito del mio popolo? I miei antenati mi dissero: noi sappiamo che la terra non ci appartiene: noi apparteniamo alla terra. 
La voce di mia nonna mi disse: insegnate ai vostri figli quanto vi é stato insegnato, la terra é nostra madre, quello che accade alla terra accade a tutti i figli e le figlie della terra. 
Ascoltate la voce dei miei antenati, il destino del vostro popolo é un mistero per noi, che cosa accadrà quando tutti i bisonti saranno stati massacrati e quando tutti i cavalli selvaggi saranno stati domati? Che cosa accadrà quando gli angoli nascosti delle foreste saranno appesantiti dall’odore di molti uomini? Quando il paesaggio armonioso delle colline sarà macchiato dai fili parlanti , dove saranno andati tutti i boschi? Scomparsi! Dove sarà l aquila? Scomparsa! E cosa accadrà quando diremo addio al veloce puledro e alle zone di caccia? Sarà la fine della vita e l’inizio della sopravvivenza!
Questo noi sappiamo: tutte le cose sono collegate, come il sangue che ci unisce, noi non tessiamo la trama della vita, siamo solo un filo di essa, qualunque cosa facciamo al tessuto la facciamo a noi stessi.
Noi amiamo questa terra come il neonato ama il battito del cuore di sua madre, se venderemo a voi la nostra terra, abbiatene cura, come ne abbiamo avuto cura noi.
Tenete viva nella vostra memoria la terra così com' é quando la ricevete.
Proteggete la terra, l’aria, i fiumi per i figli dei vostri figli e amate queste cose come noi le abbiamo amate.

Tommaso Moro: il "LIBRO D'ORO" Parigi 1549


Signore, donami una buona digestione
ed anche qualcosa da digerire.
Donami la salute del corpo
ed il buon umore necessario per mantenerla.
Donami, Signore, un'anima semplice che sappia far tesoro di tutto ciò che é buono
e non si spaventi alla vista del male, ma piuttosto trovi sempre il modo di rimettere le cose a posto.
Dammi un'anima che non conosca la noia, i brontolamenti, i sospiri, i lamenti
e non permettere che mi crucci eccessivamente
per quella cosa troppo ingombrante che si chiama "io".
Dammi, Signore, il senso del buonumore.
Concedimi la grazia di comprendere uno scherzo, per scoprire nella vita un pò di gioia
e farne partecipe anche gli altri.


Il millepiedi

Un millepiedi viveva sereno e tranquillo. Finché un rospo un giorno non disse per scherzo:
"In che ordine metti i piedi l'uno dietro l'altro?"
Il millepiedi incominciò a lambicarsi il cervello e a fare innumerevoli prove.
Il risultato fu che da quel momento non riuscì più a muoversi.

L'uomo e la Tigre

Un uomo stava camminando nella foresta quando s'imbatté in una tigre. Fatto dietro-front precipitosamente, si mise a correre inseguito dalla belva. Giunse sull'orlo di un precipizio, ma per fortuna trovò da aggrapparsi al ramo sporgente di un albero.
Guardò in basso, e stava per lasciarsi cadere, quando vide sotto di sé un'altra tigre. Come se non bastasse, arrivarono due grossi topi, l'uno bianco e l'altro nero, che incominciarono a rodere il ramo.
Ancora poco e il ramo sarebbe precipitato.
Fu allora che l'uomo scorse accanto a sé una bellissima fragola. Tenendosi con una sola mano, con l'altra spiccò la fragola e lo mangiò.
Com'era dolce!

'O Recano


Ancora oggi, ad un secolo e mezzo dai fatti, i nostri vecchi ricordano antiche storie di briganti.
D’un tempo in cui a sud di Roma prosperava (contrariamente a quanto raccontato nei libri di storia scritti dai conquistatori) o cresceva in civiltà e benessere uno Stato autonomo (Da Ruggiero II d’Altavilla -1095-1154 — re di Sicilia dal 1130 — a Francesco II di Borbone (1836-1894) — re delle Due Sicilie fino al 1861 —, le terre del Mezzogiorno d’Italia sono state unite nella stessa realtà statuale, ordinata sempre, tranne le brevi parentesi repubblicane del 1647-1648 e del 1799, nella forma monarchica), veramente Italiano ci giungono le gesta di un povero taglialegna costretto da un eccesso di vendetta, contro un’ingiustizia a vivere per anni latitante tra quei monti che avevano accolto il suo sudore.
Antonio ‘o recano sosteneva la sua famiglia col faticoso lavoro dei boschi, alle dipendenze di un padrone severo ed ingiusto, che più volte conteggiava ad Antonio e ai suoi compagni una quantità di legno lavorato minore di quello effettivo.
Un giorno l’imbroglio fu più evidente e maggiormente insopportabile, e dalla discussione si passò alla violenza. Così il padrone rimase ucciso e nascosto in un luogo segreto e ricoperto di felci. Tra gli immensi castagni che sembrano proteggere la strada che da Pimonte porta verso Castellammare di Stabia.
Strada ben tenuta e frequentata a quei tempi, sia perché conduceva alla prospera città dei Cantieri navali, orgoglio dei Borboni e del mondo intero, sia perché lungo quella strada, i reali si spingevano per le loro battute di caccia o per recarsi presso la Chiesa di San Michele Arcangelo in Pimonte a venerare le reliquie della Spina Santa, quando risiedevano nel loro bellissimo palazzo di Quisisana, a due, tre chilometri da Pimonte.
La moglie dell’ucciso denunciò alle forze dell’ordine quel delitto affermando che il marito le era venuto in sogno raccontandole fatti e luoghi.
Iniziò così la selvaggia latitanza di Antonio ‘o recano tra quei monti ricchi di grotte, e posti impervi. E la sua fama si diffuse in breve tempo un pò dovunque per la sua fama di imprendibile ed essendo lo stesso costretto a taglieggiare i passanti per sopravvivere.
Era un uomo forte, di quelli temprati dal durissimo lavoro dei boscaioli.
Si racconta che due baldanzosi giovani, nel recarsi a Castellammare, discutessero su cosa avrebbero fatto se avessero incontrato il bandito; uno affermava che avrebbe avuto paura e avrebbe finto di non vederlo, l’altro, invece, si vantava, forte della sua robustezza e guapperia, che lo avrebbe affrontato e malmenato.
Il brigante, che dai cespugli lungo la strada aveva ascoltato tutto, balzò improvvisamente dinanzi al giovane dicendogli: “eccomi qua, famme vedé che vvuò fa!”. Il terrore aveva immediatamente preso il posto della baldanza e ‘o recano aveva lasciato andare via il malcapitato, che si dice sia morto di spavento dopo tre giorni.
Durante uno dei suoi taglieggiamenti il brigante un giorno si era presentato dinanzi ad un nobile che percorreva quei posti, presentandosi e chiedendogli la borsa. Il signore, spaventato a morte non aveva opposto resistenza ed era invece rimasto sorpreso vedendo che dalla borsa il bandito aveva tratto solo il minimo per vivere qualche giorno.
Rivalutando un po’ la fama di animale e criminale che le autorità attribuivano a quell’uomo comunque non eccessivo nell’aggressione, aveva allora chiesto come mai ed il latitante aveva risposto che avrebbe poi trovato qualche altro per chiedere qualcosa per i giorni futuri: “dimane Ddio nce penza!.
Questo nobile offrì allora al brigante l’opportunità di costituirsi, assicurando che avrebbe fatto di tutto (mettendo una buona parola con gli amici “altolocati” che aveva) affinché ricevesse una punizione che tenesse conto di tutte le attenuanti.
Antonio ‘o recano, che non aveva creduto nel suo smascheramento per il sogno, ma sapeva di una spiata, chiese al nobile tre giorni per operare la vendetta, al che, timidamente si sentì rispondere che in quel caso non avrebbe potuto ottenere l’aiuto che si da a chi si pente.
E così continuò la usa vita da latitante.
Finchè fu catturato.
Ma dal treno che in catene lo portava al bagno penale, il bandito saltò mentre era in corsa e fattosi liberare da un fabbro continuò la sua latitanza …

Finchè le truppe di un esercito straniero, che avevano attaccato il Regno delle Due Sicilie senza una dichiarazione di guerra, a capo del massone Garibaldi, non avevano conquistato ed iniziato a deturpare il bel paese, soprattutto grazie ai tradimenti di generali massoni.
Numerosi fuoriusciti dell’esercito, desiderosi di restaurare Francesco II e disgustati dalle angherie, dai soprusi ed abusi, dei Mille e più ladroni, presero così la via dei boschi, della latitanza, e così numerosi giovani che rifiutavano la coscrizione obbligatoria, sconosciuta nella loro patri.
In quei boschi era ‘o Rre Antonio ‘o recano, esperto di quei posti ed oramai famoso e carismatico in tutti i paesi dintorno …